La storia comunemente accettata finora dice che il pugno di migranti maori che arrivò a Rapa Nui trovò un’isola ricoperta da foreste che presto trasformarono in un paesaggio di campi coltivati punteggiato da Maoi, una trasformazione che portò all’erosione del suolo ricco di nutrienti e che innescò l’autodistruzione della società ormai divisa in due tribù ferocemente rivali. Mentre gli alberi diminuivano, insieme a loro scomparivano anche le persone che li avevano abbattuti e, quando arrivarono i primi esploratori bianchi la società di Rapa Nui era crollata da tempo sotto il peso di una catastrofe ecologica.
Ora, anche dai dati storici emerge qualcosa di diverso da quel che finora è stato raccontato da archeologi e film: quando gli olandesi approdarono nel 1722 sull’Isola di Pasqua /Rapa Nui, notarono che i monumenti venivano utilizzati per i rituali e non parlarono di una decadenza della società isolana. La stessa impressione venne riportata dai marinai spagnoli che sbarcarono sull’isola nel 1770. Ma quando nel 1774 arrivò a Rapa Nui l’esploratore britannico James Cook, lui e il suo equipaggio descrissero un’isola in crisi, con i Moai rovesciati. Insomma, al momento dell’arrivo degli europei gli abitanti dell’isola non erano gli scriteriati sfruttatori degli ecosistemi che sono stati dipinti, ma come agricoltori sostenibili che prosperavano e sarebbero altri i fattori che hanno posto fine alla loro civiltà e a quanto pare, come scriveva già nel 2007 Whitney Dangerfield sullo Smithsonian magazine, il disboscamento dell’isola non è avvenuto solo per mano umana ma anche a causa di un clandestino portato dagli antichi marinai maori: il ratto polinesiano (Rattus exulans) che avrebbe divorato buona parte della vegetazione autoctona.
(Fonte @greenreport ).